Gelato o ice-cream? Giro del mondo con il dessert preferito dell’estate
Puoi essere o meno un provetto poliglotta, ma quando dici “gelato” ti capiscono in tutto il mondo!
Non ci credi? Seguimi…
Ti porterò con me a fare una sorta di giro del mondo inseguendo il dessert preferito dell’estate di paese in paese. E vedrai che il nome è proprio quello…
In genere distinguiamo il gelato in due macro-categorie: industriale e artigianale.
E proprio su questa distinzione ci giochiamo la traduzione del nome…!
Il gelato artigianale, quello venduto sfuso, morbido e cremoso, in cono o coppetta (due categorie di pensiero e di scelta di vita separate!), è rigorosamente chiamato “gelato” o “gelato all’italiana” in tutti i paesi del mondo.
Persino in Giappone ne hanno fatto una trascrizione nel loro alfabeto che suona esattamente come la parola italiana.
Ma quindi il gelato è nato in Italia?
Un pò di storia…
Le prime tracce di preparazioni dolci a base di latte e ghiaccio o neve risalgono alla notte dei tempi.
Ne troviamo traccia persino in alcuni libri dell’Antico Testamento, in documenti cinesi risalenti al 2000 a.C., o nelle cronache dei banchetti degli antichi Greci e Romani, prime testimonianze dell’introduzione del “dessert a fine pasto” nel menù-tipo come noi lo conosciamo.
In India è ancora oggi popolarissimo un dessert chiamato kulfi, che affonda le sue origini nelle tavole dell’antico impero Moghul intorno al XVI secolo.
Sembra che all’epoca avessero scoperto il modo di refrigerare l’acqua e il ghiaccio trasportato dalle pendici dell’Himalaya grazie al salnitro, e vi immergessero dei coni metallici in cui veniva posta una crema densa ottenuta attraverso l’evaporazione e la condensazione del latte, aromatizzata con frutta secca e zafferano o altre spezie.
Oggi somiglia molto a un gelato denso e cremoso e viene prodotto in molti gusti “esotici”, prima su tutti quelli speziati come cardamomo e zafferano, ma anche a base di rosa, pistacchio, mango e crema malai, ed è molto apprezzato dai turisti.
Nella gastronomia europea medievale si parla spesso di dessert ghiacciati a base di frutta e latte, complice probabilmente quel giramondo di Marco Polo, che verso la fine del 1200 ne portò notizia, e ricetta, dal lontano Oriente.
Ma più avanti in Italia, ci pensarono gli arabi, passando dalla Sicilia, a gettare le basi di quello che diventerà il moderno gelato all’italiana, e che comincerà a farsi notare solo un pò più tardi, in epoca rinascimentale.
Con Bernardo Buontalenti prima, scenografo, architetto e inventore alla corte dei Medici nella Firenze di metà ‘500, che innova la produzione e conservazione del ghiaccio e per primo produce un “sorbetto”, usando però anche latte, panna e uova.
E con Francesco Procopio de’ Coltelli poi, che verso la fine del 1600 prende la nuova macchina per fare il gelato inventata dal nonno e si trasferisce a Parigi, dove fonderà il Cafè Procope, contribuendo a diffondere – insieme alla cultura – il gelato italiano in tutta Europa.
Tra la fine del XIX sec e l’inizio del XX, la gelato-mania conquista anche il Nuovo Mondo, e negli Stati Uniti vengono brevettate diverse macchine per la produzione di gelati e sorbetti, che daranno il via alla produzione industriale di gelato in vasta scala.
“Gelato” o “Ice cream”?
E qui, la storia del nostro dessert comincia a dividersi…
In italiano la parola è unica: noi chiamiamo “gelato” sia quello confezionato comprato al supermercato, o al bar, sia quello artigianale sfuso.
All’estero invece, la parola “ice-cream” – usata soprattutto in area anglosassone, (crème glacée in francese) – indica il gelato di produzione industriale.
Se si parla di gelato artigianale infatti, si intende il gelato “all’italiana”, e in quasi tutto le culture il nome rimane invariato “gelato ”!
Artigianale o industriale?
In cosa esattamente consiste la differenza?
Beh, la differenza principale sta nel contenuto di grassi. Vi sembrerà strano, ma nel gelato artigianale ci sono molti meno grassi! Per legge, ne sono consentiti tra il 3 e il 7%, mentre nel prodotto industriale le percentuali variano tra il 10 e il 30%. Una differenza notevole.
Il fatto che il gelato industriale a volte sembri più soffice è invece dovuto alla mantecatura, realizzata in maniera veloce e continua, inglobando molta aria.
Il risultato è un gelato più leggero, e che si scioglie più lentamente (l’effetto isolante dell’aria).
La presenza di conservanti poi ne allunga la scadenza.
Spesso inoltre, si parte da basi di latte in polvere e aromi liofilizzati, mentre nel gelato artigianale si preferiscono latte e panna freschi.
Anche la temperatura di servizio è diversa: a -18° il gelato industriale, direttamente da freezer, mentre quello artigianale deve essere gustato intorno ai -10-12°, per rispettarne la cremosità e il gusto.
Quindi riassumendo: il gelato all’italiana è meno calorico, più buono e più salutare…
Non c’è da stupirsi se viene considerato un’eccellenza in tutto il mondo.
Gelato in giro per il mondo…

Quando stavo in Inghilterra avevo imparato a considerare il “gelato”, quello artigianale, un vero lusso. Due palline in un cono potevano arrivare a costare fino a cinque sterline… una follia.
Benché negli ultimi anni gli inglesi abbiano cominciato ad apprezzare parecchio il gelato all’italiana, storicamente hanno sempre avuto un’insana passione per gli ice-cream industriali bizzarri e coloratissimi – spesso coperti di zuccherini colorati e caramelle – per il soft-cream (più simile al frozen yogurt) e per gli ice-lolly (coloratissimi sorbetti su stecco).
Gli Stati Uniti sono uno dei maggiori consumatori di gelato (e ice-cream) in assoluto nel mondo!
Mentre in Italia si tende a mangiare gelato soprattutto d’estate, all’estero, USA in primis, la stagione è indifferente: gelato estate e inverno!
Anche se gli statunitensi hanno al loro attivo due tra i migliori marchi di ice-cream semi-industriale come i famosi Ben & Jerry’s e Häagen Dazs, in America decisamente l’amore per il gelato artigianale italiano è molto sentito, ed esistono molte gelaterie italiane sul territorio, gestite da italiani o da artigiani che sono venuti in Italia ad imparare il mestiere.
Negli States esiste persino una festa ad hoc: ogni luglio infatti si celebra il National Ice-Cream Month.
Lo stesso amore per il gelato all’italiana si ritrova nella tradizione australiana: anche qui, grazie all’alta percentuale di italiani o oriundi tali, presente nel paese.
In Sud America ogni anno artigiani del gelato si sfidano nel Campionato latino-americano del gelato, e i vincitori ambiscono a partecipare alla Coppa del mondo internazionale della Gelateria, un vero must per gli artigiani del settore.
Che ci crediate o no, anche in Africa vanno pazzi per il gelato artigianale all’italiana (una delle gelaterie più antiche si trova a Nairobi): all’inizio un business importato dall’estero, ora una fiorente produzione propria.
E tornando verso oriente, luogo da cui eravamo partiti, chi al ristorante cinese non ha mai ordinato il tipico dessert: gelato fritto?
Il Giappone, come accennavamo all’inizio, è uno dei paesi orientali in cui il gelato artigianale italiano è più apprezzato e molte sono le gelaterie italiane che hanno aperto sedi a Tokyo e in altre grandi città locali.
Ma i giapponesi sono andati oltre: hanno inventato il gelato che non si scioglie: il “Kanazawa Ice”!
Nel 2011, un terremoto devasta la zona di Miyagi, mettendo in ginocchio i produttori locali di fragole.
Cercando di salvare un raccolto pessimo, gli scienziati provano ad estrarre i polifenoli dalle fragole e ne scoprono la curiosa proprietà di tenere legati più a lungo del normale acqua e grassi.
Applicano questa scoperta alle basi delle lavorazione del gelato e ottengono il Kanazawa Ice, un gelato in grado di rimanere intatto per ore a temperatura ambiente e resistente al sole a oltre 30° per diverse decine di minuti!
Costa un pò caro, ma mi piacerebbe provarlo.
Al momento, mentre sto scrivendo, qui è estate e la temperatura si avvicina pericolosamente ai 40°.
Penso che andrò a farmi un gelato… rigorosamente artigianale e all’italiana!
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Food writer e viaggiatrice appassionata, ha un passato come musicista, giornalista pubblicista e autrice di saggistica, un Master in Marketing e Comunicazione Digitale e un Diploma da Chef. Ama raccontare i cibi del mondo e le tradizioni gastronomiche di ogni paese, per scoprire i popoli e le “persone” che vi si celano dietro e tutta la condivisione e l’“umanità” che c’è nel sedersi a tavola insieme.
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